Degrado delle Plastiche Utilizzate in Arte e nel Restauro in Esterno: Stampa 3D

I polimeri sintetici costituiscono una parte crescente delle collezioni del patrimonio, come componenti di opere d’arte e di design moderne e contemporanee, come oggetti all’interno delle collezioni di storia sociale del XX secolo o come materiali d’archivio. Negli ultimi 20 anni l’interesse e l’attività di ricerca in questo settore è cresciuto in modo significativo, come dimostrano i progetti di ricerca internazionali e numerose altre iniziative finanziate, conferenze di esperti e incontri tra professionisti. C’è un’attività e un interesse chiaramente eccezionali in quest’area di ricerca.

In quest’ottica, vengono molto sfruttate le così dette stampanti 3D, in grado di eseguire modelli tridimensionali attraverso processi di produzione additiva (FDM), posizionando uno strato sopra l’altro procedendo per sezioni trasversali. Questa tecnica risulta essere un nuovo strumento dell’ispirazione artistica del XXI secolo, che comprende scultori, architetti e designer, ma anche ingegneri e professionisti della salute. (S. R. Subramaniam, 2019).

Inoltre, attraverso le tecnologie 3D, come la scansione, è possibile supportare il restauratore in molteplici operazioni, ad esempio rilievi senza contatto di beni artistici di qualsiasi dimensione; produrre stampi e controstampi rigidi o flessibili combinando tecniche di stampa 3D e scansioni 3D senza contatto; creare elementi mancanti per il restauro integrativo dei beni artistici ecc.

È ben noto, però, che la luce UV e le brevi lunghezze d’onda della luce visibile possono indurre processi fotochimici nei polimeri organici, che si traducono in drammatici cambiamenti delle proprietà del polimero solitamente riferite alla degradazione. La durata dei materiali è misurata in decenni, che è notevolmente inferiore a quella dei materiali artistici e storici tradizionali, spesso misurata in centinaia se non migliaia di anni. La comprensione dei meccanismi di quelle reazioni che producono la degradazione delle proprietà dei polimeri è stata quindi oggetto di intense ricerche negli ultimi 50 anni. Nella maggior parte dei casi, la causa principale del deterioramento della proprietà è la foto-ossidazione, che viene avviata dall’irradiazione della luce. La radiazione nell’ultravioletto e nel visibile è infatti il ​​fattore principale dell’invecchiamento dei polimeri all’aperto. Possono poi entrare in gioco il calore, umidità, sostanze inquinanti, stress meccanici e attacchi biologici, ma in molti casi il processo di alterazione degli agenti atmosferici inizia con un evento fotochimico. La luce solare UV induce processi fotochimici nei materiali organici, che si traducono in fissazione di ossigeno, riarrangiamenti, scissioni a catena, reticolazione, foto-scolorimento e foto-sbiancamento. Tutti questi processi contribuiscono alla diminuzione delle varie proprietà dei materiali, come proprietà fisiche, meccaniche, barriera, aspetto, elettriche….

Nonostante gli enormi sforzi compiuti nello sviluppo di metodi meccanici e chimici per valutare la degradazione, ci sono ancora lacune nella comprensione dei legami tra reazioni chimiche e guasti ingegneristici nei polimeri alterati.

I materiali più comunemente utilizzati sono polimeri e biopolimeri, i più importanti dei quali sono ABS e PLA, ma anche PET, PVA, HIPS, NYLON e PC.

Questo progetto mira a comprendere se e come sia possibile utilizzare questa nuova tecnica per i restauri in esterno, soggetti a variazioni termo-igrometriche importanti. Per realizzare ciò è stato impostato un setup di invecchiamento artificiale con lo scopo di riprodurre un ambiente outdoor e verificare tramite le spettroscopie Raman, infrarosse, con l’analisi colorimetrica e con analisi di tipo meccanico le modalità di invecchiamento, nonché la velocità di degradazione e determinare eventuali procedure diagnostiche per la conservazione dei materiali polimerici in outdoor.